Puccini stravolto nella Tosca a Verona.
Si avviano verso la conclusione le recite di Tosca di G. Puccini al Teatro Filarmonico di Verona.
di Salvatore Margarone e Federico Scatamburlo
Questa produzione, con scene e costumi curati da Giovanni Agostinucci, e ripresa dal Filarmonico dopo qualche anno, è apparsa sin da subito lontanissima rispetto al libretto. Molto scarna nelle scene, buia ed inquietante, sin dal primo atto molte incongruenze risaltano sul palcoscenico, a cominciare dal “chiodo” indossato da Mario Cavaradossi all’entrata in scena, ma non solo.
Un miscuglio di epoche non inquadra perfettamente il periodo in cui si svolge la tragedia, infatti, già alla fine del primo atto nel Te Deum, che è uno dei momenti più belli ed intensi dell’opera, sgomenti assistiamo all’oscuramento del palco con un telo nero dietro il quale si posizionano il corteo religioso ed i cittadini accorsi in chiesa per l’evento. Il tutto in una staticità inverosimile dove, tra l’altro, i religiosi nemmeno si vedevano, ma spuntavano solo delle croci in alto innalzate dalle aste, e i cittadini davanti con tanto di trucco e parrucco in stile settecentesco che stonavano assolutamente con l’epoca in cui si dipana la trama dell’opera. Improbabilissima l’apparizione del prelato che, anziché stare davanti al corteo sguscia fuori, come un coniglio dal cilindro, dalla Cappella (chiusa) degli Attavanti, all’interno della Chiesa di S. Andrea della Valle. E’ questo era solo il primo atto. Passando al secondo, invece, le cose non migliorano: altra scarna scenografia che ambienta l’opera in una sorta di camera delle torture nel palazzo di Scarpia, dove non si capisce bene se ci si trova nei sotterranei del palazzo o ad altre altezze. Unico arredo della scena una sedia multifunzione, dove siederà Cavaradossi durante l’interrogatorio di Scarpia, e che poi sarà il “sofà” dove Scarpia tenta di approfittare di Tosca. Niente tavolo con la cena “interrotta”, candele, crocifisso: il momento dell’uccisione di Scarpia è risultato totalmente anonimo e scialbo e quasi imbarazzante per i cantanti in scena.
Nel terzo atto è addirittura completamente cambiato il finale dell’opera: Cavaradossi viene fucilato fuori scena, e poi portato, anzi trascinato, grondante di sangue poggiato ad un muro di una torretta dove esala l’ultimo respiro; Tosca non si getta da Castel S. Angelo, ma viene uccisa dalle guardie stesse con le baionette. Totalmente assente dunque il senso e l’enfasi di un finale normalmente di grande intensità drammatica.
Ci vuole coraggio a stravolgere così una delle pietre miliari del melodramma verista.
Deludenti anche i cantanti: Cavaradossi, il pittore interpretato dal tenore Murat Karahan, di buono ha dimostrato solo l’acuto (un sib), per il resto voce scarsa e con pessima dizione, e anche la drammaturgia appena passabile.
Scarpia, interpretato da Giovanni Meoni, non è stato l’uomo che, come recita Tosca, “… davanti a lui tremava tutta Roma!” . Pessima la sua recitazione totalmente mancante di quella verve drammatica e spigolosa dell’uomo infimo e spietato che dovrebbe essere; anche la sua interpretazione risulta monotonale senza aver lasciato in alcun particolare ricordo del suo personaggio.
Floria Tosca è stata in questa recita interpretata dal soprano Monica Zanettin, ma ben lontana dal personaggio. Forse la mancanza di arredi e di regia scenica, l’hanno resa un fantoccio elegante che si aggirava qua e la per il palco cercando di darsi un tono. Vocalmente accettabile, ma senza alcun virtuosismo apprezzabile. Anche lei, come Kaharan, non ha brillato di buona dizione, ne tanto meno di omogeneità nella voce. Fiati corti, quasi tutte le frasi troncate con un risultato finale scadente. A parte qualche filato gradevole, non possiamo affermare che sia stata pienamente nel ruolo del titolo. Pessime le sue “doti” attoriali.
Il resto del cast dignitoso, ma non brillante: Mikheil Kiria (il sagrestano), Gianluca Lentini (Angelotti), Antonello Ceron (Spoletta), Andrea Cortese (Sciarrone), Daniele Cusari (un carceriere), Stella Capelli (un pastore).
La direzione dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona è stata affidata al maestro Andrea Fogliani il quale ha dato un’impronta molto sinfonica alla partitura, ma buoni i tempi e bello il fraseggio.
Buona come sempre la performance del Coro diretto da Vito Lombardi, e lo stesso dicasi per il Coro di Voci Bianche A.d’A.MUS diretto da Marco Tonini.
In conclusione una Tosca che ha lasciato soprattutto delusi per chi aveva molte aspettative per un titolo tra i più belli del teatro d’opera, ma che non ha lasciato il segno se non in maniera negativa. Pubblico diviso, con molta gente che ha lasciato subito il posto durante gli applausi finali e molte braccia incrociate per chi è rimasto.
La recensione si riferisce alla recita del 26/03/2017
Photo©ENNEVI Verona